Vivere in Francia e crescere un bambino a cavallo di due culture: Carlotta ci racconta la sua esperienza di studio e poi lavoro e vita in Francia dove ha deciso di mettere radici e mettere su famiglia.
Carlotta ha 34 anni e da 11 vive in Francia. La decisione di trasferirsi in Francia e mettere radici è nata dopo un’esperienza di studio che l’ha portata a decidere che la Francia sarebbe stata la sua casa, e successivamente anche la casa di suo figlio.
Ne parlavamo qualche giorno fa, nell’intervista di Serena. A un’esperienza di studio, spesso ne segue una di lavoro. C’è chi poi torna in Italia e chi come Carlotta, ha deciso di vivere nel paese che l’ha accolta e che, nonostante le difficoltà iniziali e la burocrazia francese, è diventato casa. E come Anna, ha scelto di chiamare casa proprio la Francia.
Vivere in Francia e crescere un bambino a cavallo di due culture: Carlotta si racconta nell’intervista
Hai fatto un’esperienza di studio o lavoro?
All’inizio di studio. Sono arrivata in Francia, a Lione, per conseguire la laurea specialistica. A questa è seguita l’attività di ricerca universitaria in parallelo al lavoro con le compagnie teatrali, nel frattempo ho messo radici e non sono più partita. Anzi, ho cambiato città, approdando nella capitale.
Mi sono laureata all’Université Lumière Lyon 2 in studi teatrali. Ho fatto ricerca collaborando con il dipartimento di arti dello spettacolo dell’Université Paris X (motivo per cui mi sono trasferita a Parigi). Ho collaborato con diverse compagnie teatrali come aiuto regista. E attualmente mi occupo di comunicazione per un’associazione, curando in parallelo un blog di viaggi.
Cosa ti ha spinto a trasferirti in Francia?
Il primo viaggio in Francia l’ho fatto all’età di 12 anni. Davanti alla Sorbona mio padre mi disse: «un giorno tu studierai qui». All’epoca non ne vedevo l’importanza. Due anni dopo, durante una vacanza studio in Scozia, soggiornando nei dormitori dell’Università di Edimburgo, ho iniziato a chiedermi come sarebbe stato studiare all’estero.
La decisione vera e propria è arrivata durante un tirocino, quando senza prospettive dissi al mio tutor universitario che non sapevo cosa fare della mia vita. Lui mi parlò di Lione, di una professoressa italiana e degli studi che avrei potuto proseguire. In pochi mesi, sostenuta dai miei genitori, avevo già inviato la domanda all’università. Passata la selezione ho realizzato che sarei partita a breve.
Qual è l’aspetto che ti piace di più del vivere in Francia?
Durante gli anni universitari, mi piaceva l’idea di conoscere persone che venivano da ogni parte del mondo. L’università di Lione era davvero un luogo d’incontro significativo. Nel mio settore, forse, questo aspetto era ancora più forte. Parlare con gli altri, in una o più lingue non mie, era una spinta forte a superare i miei limiti umani, prima ancora di viaggiare. In qualche modo questi incontri erano un invito al viaggio costante.
Scoprire luoghi nuovi, fare mia una città straniera è stato il passo successivo legato ad un lavoro d’integrazione che ho fatto a partire dal momento in cui ho realizzato di voler restare.
Oggi ho un motivo in più per amare la vita in Francia: mio figlio che sta crescendo a cavallo tra due culture, mescolando le lingue e facendomi amare ancora di più il paese che inizio a percepire come casa.
Hai avuto modo di viaggiare in questi anni?
Durante gli anni di ricerca universitaria ho fatto qualche viaggetto legato al mio lavoro. Ho partecipato a diversi convegni che mi hanno permesso di esplorare nuove città come Nantes, Toulouse e di tornare a Reims e a Bruxelles. Anche lavorando in teatro ho potuto scoprire un po’ del Sud della Francia, ma le ore libere erano pochissime e a volte difficilmente mettevamo il naso fuori dal teatro.
In parallelo alla vita professionale, ho viaggiato per il puro piacere di viaggiare grazie ad una città ben collegata al resto d’Europa e non solo.
Hai incontrato delle difficoltà? Se sì, quali?
Ricordo il primo mese, periodo chiave dell’integrazione, come un mese durissimo. In giro, quando chiedevo o parlavo con qualcuno, la gente mi rispondeva in spagnolo, pensando di aver indovinato da dove venissi e volendomi aiutare. Ricordo anche che rompere il ghiaccio con i compagni di università è stata un’impresa: dicevano “buongiorno” entrando in aula ma non mi parlavano.
Credevo che non sarei mai riuscita ad integrarmi, ma dopo pochi giorni una ragazza mi si è seduta accanto, abbiamo iniziato a chiacchierare, anche lei veniva da un altro ateneo (francese). Così in breve tempo siamo diventate amiche. Poco dopo anche le relazioni con gli altri sono migliorate. E fuori dall’università ho conosciuto persone fantastiche che fanno parte della mia vita ancora oggi.
Quali competenze hai acquisito a livello personale e/o professionale?
Sono cresciuta molto come persona, abbandonando buona parte della mia timidezza. Ho decisamente migliorato il mio livello linguistico (sia orale che scritto). Ho potuto sperimentare la strada che avevo scelto da un punto di vista professionale e di questo ne sono felice, sebbene la vita a volte prenda dei percorsi diversi. E ho imparato a far fronte alla complessa burocrazia francese.
Quali raccomandazioni daresti a chi volesse trasferirsi in Francia o all’estero?
Prima di tutto leggere ed informarsi sul paese in cui si decide di andare. Oggi esistono pagine facebook di italiani ovunque, la loro esperienza diretta è una risorsa per integrarsi più rapidamente. Altra raccomandazione è avere un discreto livello di conoscenza linguistica, quel tanto che basta per andare oltre una conversazione base e per poter fronteggiare le pratiche burocratiche o riconoscere le truffe (specialmente sull’affitto degli appartamenti a distanza!). La terza raccomandazione è iscriversi all’AIRE (secondo il Consolato occorre farlo dopo sei mesi di residenza). In realtà nel momento in cui realizzerete che la vostra vita è altrove è fondamentale garantirsi una protezione consolare (per rifare documenti, o, come nel mio caso, dichiarare la nascita di un figlio).
C’è qualcos’altro che vorresti raccontare di questa esperienza?
Generalmente tendiamo ad avere dei preconcetti sugli altri popoli. Ho sempre sentito dire che i tedeschi sono rigidi, che gli inglesi non hanno sentimenti, che gli spagnoli sono festaioli e che i francesi sono snob. Vivere all’estero permette di andare oltre i pregiudizi, d’incontrare le persone, capire la loro cultura, le loro abitudini per confermare quell’idea che i viaggiatori condividono: italiani, francesi, inglesi, spagnoli o tedeschi che siano, le persone si somigliano un po’ tutte… E comprendere le differenze è solo un gesto d’amore per la nostra umanità così varia.
Carlotta racconta le sue avventure in terra francese sul suo blog Piccole avventure di famiglia, andate a farle un saluto, ne sarà felice!