Oggi vi racconto una storia un po’ diversa da quelle che vi ho raccontato finora. Vi racconto un’esperienza diversa, che non è durata qualche mese. Oggi a raccontarsi è Rossana, che del vivere all’estero ha fatto la sua filosofia di vita. Rossana ha vissuto all’estero più o meno 11 anni, non consecutivi. Ha iniziato con l’Erasmus in Danimarca per 10 mesi nel 2001-2002. Poi, dopo la laurea, è stata in Scozia per 5 mesi. E nel 2010, ha deciso di lasciare definitivamente l’Italia e da allora ha vissuto 2 anni in Inghilterra, circa 8 mesi in Spagna e da 6 anni vive in Belgio.
Vivere all’estero per inseguire il lavoro dei propri sogni
A parte l’esperienza Erasmus in Danimarca, Rossana è sempre stata via per lavoro. E che lavoro! Rossana è una “Lighting Artist”. E del suo lavoro dice “Diciamo che lavoro nel campo dei Visual Fx, grafica 3D per film d’animazione. Tanto per essere chiara, a mia nonna ho sempre detto che faccio cartoni animati!”
Ma sentiamo direttamente da lei cosa l’ha spinta a trasferirsi all’estero e come sono andate le sue esperienze.
Cosa ti ha spinto a prendere la decisione di trasferirti e vivere all’estero?
Ho lavorato qualche anno in Italia, ma era un disastro. 3 produzioni sono fallite, 2 non mi hanno pagato. Quando spendi mesi in un lavoro artistico come il mio e poi il film non vede la luce… ti rendi conto che hai sprecato del tempo prezioso! Ho lavorato anche in un paio di studi più grossi e più stabili, ma personalmente non ho apprezzato l’esperienza. Alla mia posizione di “artista di computer grafica” spesso non viene riconosciuta la dovuta professionalità. Veniamo sottopagati, assunti con mille contratti cortissimi o a progetto e ben poche sicurezze. È un po’ come se ti dicessero “beh, ma stai facendo il lavoro dei tuoi sogni, che vuoi di più??”.
Ho provato anche in pubblicità, che in Italia funziona un po’ meglio, ma mi chiedevano i lavori per ieri. Ho resistito un anno e poi sono scappata!
Nel 2010 ho avuto l’occasione di spostarmi all’estero, prima in uno studio piccolino che si occupava di cortometraggi di animazione, poi per un lungometraggio e da lì è stato tutto un po’ più semplice. Sono venuta in Belgio nel 2013 con l’idea di stare per 6 mesi. 6 anni dopo sono ancora qui!
Qual è stato l’aspetto che hai apprezzato di più del vivere e lavorare all’estero?
Da un punto di vista lavorativo, la cosa più importante è che sono trattata da professionista, anche se ho una sorta di “statuto d’artista” che complica un po’ le cose a livello amministrativo, e sopravvivo con contratti brevissimi. Ma c’è parecchio lavoro, passo facilmente da un progetto all’altro e da uno studio all’altro. E se rimango disoccupata per qualche tempo, il Belgio non mi fa morire di fame!
Oltre al lato professionale, vivo a Gand, che è BELLISSIMA. Con gli anni mi sono fatta un bel giro di amici sia a lavoro che fuori, tanti internazionali ma anche tanti belgi. E mi sento a casa.
Chiaramente c’è anche un uomo di mezzo, ma tutto sommato è un dato secondario. Mi trovavo bene anche prima!
Hai incontrato delle difficoltà? Se sì, quali?
Le lingue! Spostarsi spesso può essere bello, ma cambiare lingua ogni anno un po’ meno! 😀 Qui in Belgio vivo nella parte fiamminga del paese e da 5 anni sto provando a imparare l’olandese… ma è davvero difficile! In ufficio è tutto in inglese, perché ci sono tantissimi francofoni e altrettanti stranieri come me. Inoltre, qui parlano tutti perfettamente l’inglese e anche quando provo ad iniziare una frase in olandese, spesso mi rispondono in inglese. Il che è gentile, ma non mi aiuta né spinge ad imparare la lingua locale. Precedentemente, quando mi hanno offerto il lavoro in Spagna, mi avevano detto di non preoccuparmi perché lo studio era internazionale e l’inglese era ampiamente parlato. Falso. Falsissimo! Il leader del mio team in particolare non solo non spiccicava una parola di inglese, ma aveva (a detta degli altri, io al tempo non coglievo le differenze) un accento sivigliano particolarmente spiccato! Le chiacchierate a gesti che ci siamo fatti…
A parte le lingue, sia il Belgio che l’Inghilterra sono paesi molto nordici da un punto di vista di interazioni sociali. Per fare amicizia bisogna investire del tempo!
L’ultima cosa che citerei, anche se è più una cosa fastidiosa che difficile, è il dover imparare e gestire tutta una serie di questioni pratiche che sono differenti per ogni paese: aprire un conto in banca, capire come funziona la sanità, cercare di non farsi fregare sui contratti, pagare le tasse…
Quali competenze hai acquisito a livello personale e/o professionale?
Sul lavoro ho imparato parecchio da colleghi più esperti e talentuosi, sia tecnicamente che artisticamente. Ma questo, forse, sarebbe successo anche restando in Italia.
Personalmente, ho imparato a convivere con persone con background molto misti, e scoprirne i lati interessanti. Non è sempre facile, possono nascere dei fraintendimenti, ma mi aiuta a ricordare che non siamo tutti uguali e, quando torno in Italia, che lo straniero che incontro potrei essere io! Di fatto, sono un’immigrata!
Inoltre, ho scoperto tante cose di me in quanto italiana delle quali non ero minimamente cosciente! Per esempio, qui in Belgio ci si saluta con un bacio sulla guancia. E precisamente è la guancia destra, quindi ognuno si sporge verso sinistra a baciare l’amico/a. In Italia (facci caso la prossima volta che incontri qualcuno!) diamo due baci, prima a destra e poi a sinistra. Sembra una stupidata, ma se entrambi vanno d’istinto dalla stessa parte, rischi di baciare in bocca un sacco di gente a caso!
Un altro esempio classico è il caffè al bar. Quasi da nessuna parte esiste il concetto di bere il caffè in piedi al bancone del bar!
Quali raccomandazioni daresti a chi volesse intraprendere questo percorso?
Go for it! Vivere all’estero dovrebbe essere obbligatorio come andare a scuola! Trovo fondamentale essere fluenti in almeno un’altra lingua, conoscere altre culture, provare cosa vuol dire “essere straniero” e imparare ad arrangiarsi da soli, quando non si ha né famiglia né amici attorno.
Suggerisco di trovare qualche amico italiano sul posto, perché fa bene al cuore. Ma è assolutamente controproducente non immergersi nella cultura locale e rinchiudersi in una nicchia di soli concittadini.
Informarsi bene prima di partire è chiaramente utile, ma mai sufficiente. La stragrande maggioranza di cose le si scopre una volta arrivati a destinazione. Ovviamente, più lontano è la meta, più grande lo shock culturale. È normale e ci sono passati tutti: non bisogna spaventarsi!
C’è qualcos’altro che vorresti raccontare di questa esperienza?
Non so quanto ancora resterò qui e quale sarà la mia prossima meta. Ho questa vaga idea che però, quando sarò una vecchietta rugosa, mi piacerebbe passare l’età della pensione nella mia terra natale…
Sul suo blog, That Lady from Europe, Rossana racconta di viaggi, di trekking, di volontariato e di tanto altro, andate a dare un’occhiata!