Nei giorni scorsi un post mi ha fatto sorridere: “L’unica cosa che uscirà il 03 aprile 2020 sarà la quarta stagione de La Casa di Carta!”. Difatti quel giorno, puntuali come un orologio svizzero, sono diventati disponibili su Netflix i nuovi episodi di questa serie tv spagnola che ha conquistato un’audience notevole a livello internazionale. Per me e la mia metà è un appuntamento immancabile da qualche anno e ammetto che le nuove puntate ce le siamo guardate tutte in una giornata!
Cosa adoro di questa storia? La trama, l’adrenalina, i personaggi dalla psicologia intrigante e… l’utilizzo di determinati simboli, a cominciare dalla maschera con il volto di Salvador Dalì, indossata dai rapinatori.

Salvador Dalì: dietro la maschera! 1
Photo Credit: Martina Ossato

Inevitabilmente mi sono chiesta il perché di questa scelta da parte degli sceneggiatori. Sicuramente questo pittore è una figura carismatica e dalla fama mondiale ma… perché proprio lui?

In questo articolo indagherò su questo artista, così da poter formulare delle personali considerazioni.

Pronti?! Ciak, si gira!

Salvador Dalì: una famiglia problematica

Baffetti all’insù e sguardo indemoniato… Salvador Dalì ha decisamente saputo rendere la sua stessa immagine il miglior capolavoro di sempre! In costante equilibrio tra lecito e proibito, tra genio e sregolatezza, questo noto surrealista – come per molti altri prima e dopo di lui – è stato tuttavia segnato dal burrascoso rapporto con il padre: per volontà di quest’ultimo difatti, l’artista porta lo stesso nome del fratello maggiore, morto prematuramente. Diciamolo: a livello psicologico non è proprio una bella idea! Anche Van Gogh purtroppo ha subito questa sorte e … sappiamo tutti come è andata a finire!

Salvador Dalì
Source: Pixabay

Il giovane cresce inevitabilmente con dei complessi, aggravati ulteriormente dal matrimonio del capofamiglia che, rimasto vedovo, decide di risposarsi con la sorella della defunta moglie. Peggio di una telenovela sudamericana, insomma! Come può reagire dinnanzi a un simile garbuglio? Vestendosi in modo eccentrico, comportandosi da aristocratico, amplificando ogni suo gesto e iniziando a interessarsi ad una nuova scienza capace di indagare su un campo ancora ignoto: l’inconscio.

Incontri che segnano!

Il percorso artistico di Salvador Dalì comincia all’Accademia di Belle Arti di Madrid. Qui, nonostante l’espulsione – avvenuta dopo aver dichiarato l’incapacità dei professori di giudicare i suoi lavori – l’artista stringe una forte amicizia (non solo platonica, pare!) con il regista Luis Buñuel e il poeta Federico Garcia Lorca, i quali lo spingono a volgere lo sguardo anche al di là del settore pittorico. Altrettanto profetico è il suo viaggio a Parigi, dove diventa amico del boss Pablo Picasso, conosce le opere di Giorgio De Chirico, i dipinti immaginifici di Max Ernst e Juan Mirò e si fa promotore dalle teorie surrealiste di André Breton.

È doveroso fare una piccola partentesi sul concetto di Surrealismo. Nel Novecento le teorie freudiane portano una decisiva boccata d’aria fresca nel mondo dell’arte e non solo: umanisti, letterati e artisti disillusi dalla realtà, iniziano ad indagare il mondo del sogno, un luogo in cui tutti noi siamo disarmati, incapaci di razionalizzare e dove le immagini e i suoni sono liberi di fluttuare senza un filo logico. Coloro che si dedicano a questa analisi sono proprio i Surrealisti. Anche Dalì entrerà nella squadra degli interpreti dei sogni!

Come ormai avrete capito, sono una grande sostenitrice dell’analisi dell’opera d’arte; penso sia fondamentale per poter entrare in sintonia con i vari artisti. Anche questa volta non sarò di meno!

Scavando più a fondo: nascita dei desideri liquidi

A Venezia, presso la collezione Peggy Guggenheim, è custodito un dipinto del maestro, realizzato nel 1932. Pur non essendo tra le più famose, questa pittura racchiude in sé degli ottimi spunti su cui riflettere.

Salvador Dalì è ossessionato dalla storia di Guglielmo Tell, l’arciere costretto a colpire con una freccia la mela posta sul capo del figlio (qualche problemino con la figura paterna, Salvador?!); in quest’occasione ce lo ribadisce realizzando una figura ermafrodita – la fusione di un padre, una madre e un figlio – che tiene in equilibrio sulla testa una pagnotta di pane.

Opera di Salvador Dalì

Tra le braccia di quest’ultimo c’è una donna vestita da sposa, con il volto celato da dei fiori. Sembra quasi priva di energia. Si tratta di Gala, l’eterna musa e sposa del pittore, una donna che ha avuto parecchi scontri con la famiglia di lui, in primis per la sua età – ben 11 anni più anziana – e perché divorziata. Non riusciamo appieno a capire se i due soggetti si stanno abbracciando o se la figura sta respingendo la fanciulla. Ci troviamo dinnanzi alla lotta interiore che è costretto a subire Salvador Dalì, quella tra il desiderio e l’approvazione della sua famiglia. Sullo sfondo appare un elemento che richiama alla mente un violino o una tavolozza d’artista.

Riflessione

È appurato che in pubblico Dalì è un performer, un uomo forte, attratto dall’esotico, raffinato e circondato da bellissime donne. Più volte ha dichiarato che il suo interesse è quello di fare soldi con la propria arte, eppure studiando con più attenzione le sue opere e le sue scelte di vita ci accorgiamo che tutto ciò è solo una farsa. Nell’intimo quest’uomo è sensibile, incapace di lasciare il passato alle spalle, vive in nome della passione per la sua amata – alla morte di Gala tenta due volte di suicidarsi – ed è inaspettatamente altruista: nel suo testamento lascia tutti i suoi lavori alla Spagna, la sua patria.

Eccoci dunque giunti al punto! Una maschera con un sorriso beffardo, indossata da un gruppo di rapinatori. Secondo me ci troviamo di fronte a un simbolo molto forte per gli spagnoli poiché incarna una certa idea di patriottismo. Come abbiamo visto, tuttavia, quel volto è un’identità costruita, un artificio che nasconde molteplici sfaccettature; questa complessità si può riscontrare in questa serie tv, dove si vuol far credere all’opinione pubblica che si stia svolgendo una banale rapina, ma in realtà c’è un piano molto più articolato sotto. Meccanismi, strategie, un passato da nascondere… Chapeau!

Ciononostante, un aspetto che proprio non mi torna è il tema della Resistenza: ne La Casa di Carta i personaggi sembrano giustificare le loro azioni, riportando in auge un tema a tutti noi italiani molto caro – nel bene e nel male – quello dei partigiani. Canticchiando Bella ciao a squarciagola, i protagonisti si sentono quasi dei moderni Robin Hood vs il Sistema. È proprio questo che stride! Dalì ha vissuto sulla propria pelle quegli eventi storici, ma si è sempre rifiutato di dire la sua a livello politico (su qualunque tipo di totalitarismo)! Lo potremmo quasi definire “la Svizzera”, a differenza di molti suoi colleghi. Auto-goal degli sceneggiatori? … Chi lo sa!

E voi cosa ne pensate?! Condividete pure i vostri punti di vista e… alla prossima opera!

Martina

Articolo scritto da Martina Ossato, amante dell’arte in tutte le sue sfumature, diplomata in architettura e design, laureata in Beni Culturali e infine specializzata nel 2015 in Discipline Artistiche, con una tesi in economia e commercio dell’arte, presso l’Università di Verona.