La ragazza con l’orecchino di perla quadro di Vermeer custodito all’Aia. Vi racconto del quadro, del suo autore, e non solo!

Martina

Articolo scritto da Martina Ossato, amante dell’arte in tutte le sue sfumature, diplomata in architettura e design, laureata in Beni Culturali e infine specializzata nel 2015 in Discipline Artistiche, con una tesi in economia e commercio dell’arte, presso l’Università di Verona.

Tra divieti, zone rosse/arancioni/gialle e cadute di governi vari… oggigiorno rifugiarsi nella fantasia è una delle poche consolazioni che ci sono rimaste, specie per coloro che come me, amano viaggiare! In questo articolo, voglio proprio immaginare di uscire dai nostri angusti – per ora – confini italiani e di accompagnarvi a l’Aia, nei Paesi Bassi.

Nel cuore della piccola capitale olandese, a due passi dal palazzo reale, si trova la pinacoteca Mauritshuis, un grazioso edificio risalente al XVII secolo, che custodisce i migliori dipinti olandesi dell’età d’oro. Tra le sue intime stanze si nasconde un gioiello pittorico la cui fama non ha eguali in tutto il mondo. Di che opera sto parlando? Della “ragazza col turbante” , meglio nota come La ragazza con l’orecchino di perla di Johannes Vermeer.

La ragazza con l'orecchino di perla_riproduzione
Source: Pixabay

Occhi languidi, labbra socchiuse, capelli raccolti in un turbinio di stoffe colorate e uno sfavillante orecchino di perla saldamente ancorato nel lobo sinistro. Quando pensiamo a La ragazza con l’orecchino di perla queste sono le caratteristiche che si materializzano immediatamente nella nostra mente.

Ma siete veramente sicuri di sapere già tutto su questa fantomatica tela dalle dimensioni decisamente ridotte (ben 44 x 39 cm)?

La ragazza con l’orecchino di perla: tra best seller e… flop cinematografici!

La mia curiosità nei confronti di quest’opera si è palesata nel lontano 2000, quando ho letto per la prima volta “La ragazza con l’orecchino di perla” della scrittrice americana Tracy Chevalier. Se vi siete persi questo fantastico romanzo storico eccovi qualche anticipazione di trama, ovviamente rigorosamente senza spoiler: la storia narra le vicende di una giovane ragazza olandese del Seicento – Griet – che per necessità si ritrova a fare la cameriera in casa del pittore Vermeer. Tra le quattro mura domestiche, Griet assiste alla vita di questa famiglia decisamente affollata e si ritrova a partecipare al processo creativo dell’artista olandese, da prima come mera spettatrice, poi come aiutante e infine come modella, posando per la famosa tela.

Che tipo di rapporto nascerà tra Griet e Vermeer? Come era la vita dei cattolici e dei protestanti nel XVII secolo? Perché proprio un orecchino di perla? Ebbene, queste sono solo alcune delle domande che attanaglieranno la vostra curiosità durante tutta la lettura del romanzo.   

Nel 2004 il successo del libro ha fatto si che la storia venisse trasposta cinematograficamente, con attori di un certo calibro, come lo stimato Colin Firth e una giovanissima Scarlett Johansson. Purtroppo questo film ha reso palese quanto sia difficile eguagliare il successo di un best-seller (lo potete acquistare su Amazon), nonostante si sia scritturato un cast stellare. Non esagero nel dirvi che più e più volte le mie orecchie hanno chiesto pietà sentendo i maledetti sospiri della Johansson! Bleah!

Vermeer: storia di un artista… enigmatico!

Ma torniamo alla nostra tela. Come vi ho raccontato più volte, trovo sia importante al fine di poter comprendere veramente un’opera d’arte, indagare sulla vita del suo creatore, sui suoi obiettivi, sulle tecniche usate, tra le altre cose. “La ragazza con l’orecchino di perla” è stata dipinta da un pittore fiammingo vissuto a Delf, in Olanda nella seconda metà del 1600: Jan Vermeer.

Di lui non si conosce moltissimo poiché le uniche fonti sicure sulla sua vita consistono in alcuni registri, pochi documenti ufficiali e commenti di altri artisti. La data precisa della sua nascita risulta essere tutt’ora un mistero, anche se sappiamo che venne battezzato il 31 Ottobre 1632, nella chiesa protestante di Delf. Alla morte del padre, Reynier Vermeer, Jan eredita la gestione della locanda di famiglia, che si trovava nei pressi del mercato, e tutti gli affari legati al commercio di opere d’arte e di seta.

Come spesso accade, anche il nostro artista perde la testa per una ragazza dei quartieri alti. La giovane in questione si chiama Chaterina Bolnes e proviene da una famiglia super cattolica e benestante. Tra la moltitudine di problemi (sociali, economici e religiosi) che ostacolano il loro “happy ending”, c’è la famigerata suocera, Maria, la quale si rifiuta categoricamente di firmare l’assenso alle nozze, speranzosa forse di trovare per  Chatarina un partito migliore. Nonostante tutto, Vermeer riuscirà ad addolcire la suocera, convertendosi al cristianesimo e chiamando tutti i suoi 14 figli (avete letto bene!), con nomi di santi cattolici.

Misterioso è ancora il nome del suo maestro. Secondo alcuni storici dell’arte Vermeer potrebbe aver studiato  a Delf con Carel Fabritius o Leonaert Bramer.  Certamente, nel 1653 l’artista diventa membro della Gilda di San Luca, una nota associazione di pittori del luogo, tuttavia  dagli archivi capiamo che faticò non poco a pagare la sua quota di ammissione. La situazione finanziaria di Vermeer migliora decisamente grazie a Pieter van Ruijven, suo mecenate e uno dei più ricchi cittadini di Delf, e grazie alla stessa  suocera, la quale nonostante tutte le iniziali incomprensioni, decide di usare la propria rendita per sostenere il genero nel mondo dell’arte.

Gli affari peggiorano quando, nel 1672, l’esercito francese invade l’Olanda, gettando crisi sull’intero comparto economico e artistico. Tre anni più tardi Jan si spense inaspettatamente, lasciando l’intera famiglia sommersa dai debiti. La moglie grazie alla madre, vissuta fino alla veneranda età di 87 anni, riesce ad evitare per qualche anno di cedere i dipinti del marito ai creditori, ma invano.

Dipinti di Vermeer: la perfezione della luce

A causa della sua tecnica lenta e laboriosa, la produzione pittorica di Vermeer risulta essere molto limitata (gli sono attribuiti 35-36 dipinti, generalmente di piccolo formato)  e di conseguenza i prezzi risultavano molto elevati per l’epoca.  La vera protagonista delle sue tele è la “Luce”.  Quest’ultima viene rappresentata come una sorta di entità palpabile, con una propria consistenza capace di toccare tutte le cose e renderle… vive.

L’interpretazione è decisamente svincolata da preoccupazioni narrative e viene affidata alla pura visione del collegamento fra spazio, luce e colore. Ciò che accomuna le opere di Vermeer sono i soggetti rinchiusi in un universo delimitato, nella tranquillità quotidiana e domestica (le uniche eccezioni sono 2 tele con scene mitologiche, 2 vedute di città, 2 allegorie e 4 teste di studio). Questo luogo è solitamente una stanza, un luogo prettamente femminile e per questo carico di segretezza, intimità, comodità e lusso tipico della ricca borghesia.

Nel suo ristretto universo domestico, le donne sono certamente  il soggetto privilegiato, comparendo circa 40 volte contro 14 degli uomini. Le sue muse non sono mai belle secondo i canoni convenzionali ed è evidente che il pittore ha spesso usato delle conoscenti o donne della famiglia come modelle (probabilmente per un proprio tornaconto economico).

Per chi come me ama le opere d’arte trasudanti tensioni sentimentali, di fronte ai quadri di Vermeer rimarrà un po’ deluso in quanto tutti i richiami all’amore sono limitati e quasi decorosi sino al limite del puritanesimo.  A prima vista la totale assenza di bambini all’interno del suo universo artistico può risultare molto strana, dato che la sua casa ne era zeppa. Alcuni storici hanno interpretato questa scelta come un bisogno di Vermeer di evitare, almeno nel mondo lavorativo, la rappresentazione del dovere paterno.

Vermeer, tra arte e scienza

Dal suo modo di dipingere lento, capace di trasudare silenzio, alcuni critici hanno dedotto che l’artista fosse in realtà una persona schiva, meticolosa e introversa. Per conquistare la dimensione della profondità, Vermeer utilizza più volte la camera ottica, ovvero una speciale scatola che presenta un foro per una lente convessa su un lato e su quello opposto un foglio traslucido su cui si forma l’immagine capovolta e invertita destra/sinistra.

Questo strumento ha come scopo primario quello di ingrandire i dettagli dello sfondo, più o meno come la lente grandangolare di una macchina fotografica. La camera ottica inoltre permette di incorniciare la scena, trasformando l’immagine da tridimensionale a bidimensionale, aiutando l’artista nella composizione. Un ulteriore vantaggio è che, limitando la luminosità naturale, si riduce il numero dei valori tonali.

Analisi dell’opera: ragazza con orecchino di perla

Vero protagonista di questa tela – probabilmente dipinta tra il 1665 e il 1666 –  è senza dubbio l’orecchino di grandi dimensioni che cattura quasi da solo la centralità della luce di cui è pervaso il dipinto. Generalmente la perla rientra in quella categoria di oggetti che vengono utilizzati nelle opere d’arte come indizi per poter comunicare agli spettatori, alcuni dettagli sulla natura delle persone rappresentate. La perla, solitamente è simbolo di Vanità, ma anche di Verginità. L’orecchino ovoidale dipinto da Vermeer, risulta tuttavia avere delle forme esagerate!

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Alcuni critici ipotizzano che:

  1. l’artista abbia volutamente ingigantito le  dimensioni per ragioni di luminosità pittorica;
  2. abbia riprodotto una perla artificiale, costituita da sottili bolle di vetro riempite di “essenza d’oriente”, ovvero un impasto di cera bianca e scaglie di madreperla;

Altra protagonista del quadro “La ragazza con l’orecchino di perla” è ovviamente la ragazza dalle labbra carnose, volta di tre quarti. Colpisce molto l’espressione incantata, debole e allora stesso tempo ammaliante (secondo alcuni anche carica di innocente erotismo).  Sebbene la giovane appaia di modeste condizioni, il tipo di orecchino che indossa era al tempo di Vermeer una prerogativa delle dame aristocratiche dell’alta borghesia in quanto veniva importato direttamente dall’Oriente.

L’identità della modella risulta essere ancora ignota. I critici sostengono che si tratti della figlia maggiore del maestro, Maria (di 12-13 anni), mentre secondo altri si tratterebbe della coetanea Magdalena, figlia del mecenate van Ruijven. Chiunque fosse, sappiamo che venne ritratta anche in un altro quadro di Vermeer: l’allegoria della pittura.

I colori dominanti del quadro La ragazza con l’orecchino di perla sono il giallo e il blu oltremare, pigmenti tra i più amati dall’artista olandese; il turbante ha una forma alquanto inusuale, in quanto segue strettamente la forma del capo, senza sovrastarlo con avvolgimenti abbondanti, mentre la fusciacca pendente sembra stranamente annodata in cima al capo. La luce fa il suo ingresso da sinistra, colpendo buona parte del viso della ragazza, mentre lo sfondo è monocromatico e dona maggior mistero al tutto.

Lo sfondo nero era un elemento ricorrente nelle opere dei grandi artisti suo predecessori, come Leonardo, Antonello da Messina e Caravaggio. Una voce importarne di questa tela sono le velature, che a partire da van Dyck, definito l’inventore della pittura ad olio, passando poi per Leonardo, si sono evolute fino a trovare nel periodo fiammingo uno dei suoi massimi momenti d’espressione.

Non tutti i lockdown vengono per nuocere!

La ragazza con l’orecchino di perla, come vi avevo anticipato all’inizio di questo articolo, è esposta all’Aia presso la pinacoteca reale Mauritshuis, un centro espositivo davvero speciale, poiché può fregiarsi del titolo di “primo museo in gigapixel del mondo”. Dato che oggigiorno viaggiare sembra essere diventata una cosa impossibile, il museo olandese ha pensato bene di investire una cospicua somma di denaro per la digitalizzazione del proprio patrimonio e per poter garantire ai propri “ospiti virtuali”, una visita online davvero impareggiabile.

Museo de La ragazza con l'orecchino di perla
Source: Pixabay

Perché? Perché non è solo la collezione ad essere stata digitalizzata ma… tutte le 15 sale del museo! Tutto questo è stato ovviamente possibile “grazie” al lockdown della primavera scorsa, mediante delle videocamere a 360° e con una mappatura fatta da un robot. L’incredibile risoluzione permette di cogliere i minimi dettagli di ogni opera, permettendoci persino di accostarci alle tele, scorgendo le infinite pennellate.

Per saperne di più, visitate l’app gratuita “Second Canvas”, utilizzata oggi da 75 musei in 16 Paesi e scaricabile gratuitamente, oppure potete accedere a questo straordinario servizio da qui.

Magari potete unire questa visita virtuale ad un tour virtuale della città tramite webcam, in attesa di poter tornare a viaggiare fisicamente quanto prima!