Giuditta e Oloferne: tutto quello che vi siete sempre chiesti su queste due persone e sul significato della loro rappresentazione.

Martina

Articolo scritto da Martina Ossato, amante dell’arte in tutte le sue sfumature, diplomata in architettura e design, laureata in Beni Culturali e infine specializzata nel 2015 in Discipline Artistiche, con una tesi in economia e commercio dell’arte, presso l’Università di Verona.

Se avete visitato il museo di Capodimonte, Palazzo Pitti, il Detroit Institute of Arts, l’Österreichische Galerie Belvedere a Vienna o la galleria Ca’ Pesaro, allora saprete che questi luoghi hanno in comune il fatto che custodiscono gelosamente tra le proprie mura, opere che rappresentano un tema artistico particolarmente accattivante: Giuditta e Oloferne. Chi sono queste due persone dai nomi altisonanti? Che significato ha la loro rappresentazione? Ecco ciò che dovete sapere per poter apprezzare questa tematica e i suoi due personaggi.

Personalmente mi sono interessata a questi soggetti anni fa, dopo aver visitato una stupenda mostra allestita a Milano nel 2011, intitolata “Artemisia, storia di una passione”. Artemisia Gentileschi è diventata in men che non si dica una delle mie artiste preferite, non solo per aver sopportato la sua condizione di donna-pittrice in una società patriarcale, ma anche perché attraverso l’arte ha saputo affrontare un grave trauma fisico e psichico: quello della violenza sessuale. La sua “terapia” consiste nel creare grandi tele raffiguranti fanciulle bibliche o di importanza storica che, come lei, hanno dovuto subire la cattiveria, diventando quasi degli oggetti oppure eroine che prevalgono sul potere maschile.

Raffigurazione in bianco e nero di Giuditta
Source: Pixabay

Tra le numerose messinscene dipinte dall’artista toscana, spicca una vicenda tratta dalla Bibbia, in cui una giovane donna attrae con l’inganno il generale dell’esercito invasore e… rimasti soli, lo decapita! Si tratta di Giuditta e Oloferne. Artemisia Gentileschi ha saputo infondere nell’eroina una brutalità e una forza che nessuno prima di lei aveva mai associato alla figura femminile. Quell’esposizione ha segnato talmente tanto la Martina di quegli anni, da spingermi ad indagare in modo più approfondito su questa rappresentazione iconografica, cercando di capire i molteplici significati che si possono nascondere dietro una storia tanto cara ai credenti e non solo.

Giuditta e Oloferne una storia alla…Quentin Tarantino!

Esporre la storia di Giuditta e Oloferne, senza inciampare nello splatter, non è di certo una cosa facile! Come nella maggior parte delle storie narrate dinanzi a un fuoco scoppiettante, anche in questo caso c’è un esercito invasore, la vendetta, una gran bella donna e… un finale truce! Il racconto biblico narra dell’invasione della cittadina di Betulia, ad opera dell’esercito di Nabucodonosor, guidato da Oloferne.

In questo luogo tuttavia vive Giuditta, una ricca vedova, la quale riceve da Dio una missione divina, ovvero quella di liberare il proprio popolo dagli occupanti. Sfruttando la sua bellezza, la donna riesce ad entrare nell’accampamento degli invasori e si presenta al generale, proclamando il suo amore. Oloferne, dinanzi a cotanto splendore, decide di lasciar vivere lei e la sua ancella. Rimasti soli, il generale abbassa finalmente la guardia e, credendo di poter finalmente consumare, si lascia andare al vino. Approfittando dell’ubriacatura dell’uomo, Giuditta afferra la spada e gli recide il capo. Dopo quanto accaduto, l’esercito si ritira e la vedova torna a Betulia da eroina, sfoggiando il suo “trofeo” in un sacco. 

Quadro di Giuditta e Oloferne
Photo Credit: Martina Ossato

Giuditta e Oloferne: analizziamo insieme alcuni dei molteplici significati di questo tema

Simbolo di virtù

A seconda del contesto storico e culturale in cui viene realizzata o dalla volontà della committenza, la figura di Giuditta è stata rappresentata nella pittura italiana nei modi più svariati. Nel medioevo la vedova di Betulia viene raffigurata come un esempio morale cristiano, come simbolo di virtù che trionfa sul vizio. Nella maggior parte dei casi è iconograficamente presentata con la testa recisa di Oloferne e con l’ancella fedele, che velocemente ripone il trofeo in un sacco o in un piatto – anche se quest’ultimo è molto raro per l’epoca.

Nel XI-XII secolo, inizia a diffondersi in tutta Europa una pratica molto particolare: quella di presentare i protagonisti dell’Antico Testamento come prefigurazione di quelli del Nuovo. In quest’ottica, anche Giuditta viene rivalutata ulteriormente, diventando l’anticipazione della Madonna, poiché entrambe tagliano la testa del demonio.

Una Giuditta…politica!

Nel Rinascimento, Giuditta diventa una fanciulla forte, capace di trasudare seduzione e virtù. Francesco Filelfo, nel suo “Codice Sforza”, associa Giuditta alla figura della Giustizia, facendola apparire come una donna temibile, specie ai tiranni. In ogni rappresentazione medievale all’eroina biblica non viene mai concesso il ruolo principale, poiché è sempre accompagnata da altre figure della cristianità… eppure un secolo più tardi, Ghiberti le dedicherà addirittura un intero riquadro narrativo della porta del battistero di Firenze!

Anche un giovane Donatello la rappresenta in una straordinaria statua bronzea, in cui la giovane brandisce la spada. In questo caso l’opera è sicuramente legata a un’ideologia politica, come lo è David, una scultura dello stesso materiale, realizzata da Donatello per la famiglia Medici, nel 1440. David e Giuditta vengono intesi fin da subito dai fiorentini come gli emblemi del nuovo eroe, la personificazione di Firenze e dello stesso Cosimo dei Medici.

Oloferne e Giuditta: inno alla teatralità

A partire dal Seicento, la donna biblica abbandona l’ambito religioso, assumendo un carattere misterioso, carico di fascino e di eccezionale singolarità. In questo particolare periodo storico Giuditta viene rappresentata come un’antica divinità pagana, circondata da stoffe orientali e da gioielli preziosi che la rendono quasi temibile – se accompagnati dalla testa sgozzata del poveretto! Il tema grazie alla sua teatralità, ottiene sempre più consensi specie da parte dei pittori veneziani noti come “i tenebrosi”.

Questi artisti, ispirati dalle opere di Caravaggio, celebrano uno stile drammatico, cupo, mettendo spesso in scena il flebile tremolio di una candela, così da poter creare un gioco di luce eccezionale. In questo contesto, si diffonde anche il piacere verso il macabro, come si può ben notare nelle opere di Johann Liss, il quale raffigura Oloferne in primo piano, con il collo reciso e grondante di sangue! A questa fase appartengono le creazioni della tanto amata Artemisia Gentileschi.

Giuditta o Salomé?

Quanta confusione! Ebbene sì, non sempre gli artisti nel corso dei secoli hanno rispettato i dettami iconografici, rappresentando determinati soggetti biblici accompagnati dai loro simboli di riconoscimento. Come si può ben intuire, i segni di individuazione di Giuditta sono la spada, l’ancella e il capo decapitato… elementi molto simili a quelli usati per raffigurare un’altra donna presente nelle Sacre Scritture: Salomè.

L’uomo al quale “farà perdere la testa” Salomè, tuttavia non è un tiranno o un invasore, bensì il povero Giovanni Battista. Erwin Panofsky, uno dei più autorevoli storici dell’arte, ha studiato numerose opere in cui regna l’ambiguità sul tema e ha capito che questa fusione tra le due donne, specie nel Cinquecento, è dovuta al diffondersi di opere tedesche, in cui Giuditta tiene ciò che rimane di Oloferne in un bacile. Questo tipo di contenitore molto basso è stato tramutato negli anni, assumendo le sembianze di un piatto. Da ciò, l’errore.

L’ultimo incontro ravvicinato…

L’ultimo personale vis à vis con una raffigurazione di Giuditta, l’ho avuto a dicembre dell’anno scorso, durante la mostra “Ritratto di donna”, che si è tenuta in Basilica Palladiana a Vicenza. Qui potete trovare il mio articolo sull’argomento. La Giuditta in questione risale ai primi anni del Novecento ed è stata realizzata da uno dei più fantastici pittori della Secessione viennese: Klimt. La novità apportata al tema da parte di questo artista è il concetto di femme fatale, di donna capace di mangiarti solo con lo sguardo, tanto per intenderci!

Giuditta e Oloferne - Klimt
Photo Credit: Martina Ossato

In questa versione Giuditta si allunga in modo quasi serpentesco, sprigionando un’aurea temibile. Lo sguardo è arido, quasi assente, mentre si dirige verso sinistra, portando con sé la sacca dalla quale fa capolino il volto di Oloferne. Il pallore del suo incarnato risalta sulla veste nera decorata un turbinio di forme geometriche e motivi lineari. Le dita della donna sembrano quelle di un rapace che tiene ben salda la presa sulla preda.

E voi? Qual è stata la vostra ultima Giuditta vista prima del lock-down? Quale interpretazione vi piace più o quale opera vi è rimasta nel cuore?