Nell’intervista Flavia racconta la sua esperienza di au pair Irlanda, che le ha permesso di inserirsi completamente nella cultura irlandese e di imparare la lingua oltre a vivere dei momenti bellissimi.
Au pair Irlanda: come fare e cosa sapere
Per fare l’au pair in Irlanda, i requisiti sono simili a quelli descritti nell’articolo su come fare la ragazza alla pari in Inghilterra. Ovvero un’età compresa tra i 18 e i 27 anni, una conoscenza della lingua più o meno approfondita a seconda delle esigenze della famiglia che vi ospita che magari vuole insegnare ai loro bambini la vostra lingua madre, quindi basta loro una conoscenza minima della lingua inglese. Può essere richiesta la patente se tra le vostre mansioni ci sarà portare i bimbi alle varie attività.
Su come fare anche qui le possibilità sono simili a quelle descritte nell’articolo sopramenzionato: potete rivolgervi ad un’agenzia oppure cercare da soli un’opportunità sui vari siti o gruppi relativi alla ricerca di au pair o su siti come Workaway. Il consiglio che posso darvi è quello di conoscere la famiglia prima, tramite videochiamata, in modo che possiate vedere subito se tra voi c’è feeling.
“Molti considerano l’au-pairing come lavoro, ma io direi meravigliosa esperienza di vita”, così ha esordito Flavia nell’intervista sulla sua esperienza di vita all’estero. Flavia ha trascorso nove mesi lavorando come au pair in Irlanda, a Monasterboice (Drogheda).
Come avete già letto nell’intervista di Sara, fare l’au pair è un lavoro in tutto e per tutto, anche molto impegnativo se vogliamo. Non si tratta infatti soltanto di prendersi cura di bambini altrui, ma anche e soprattutto di immergersi completamente in una famiglia e in una cultura diverse dalle proprie.
Flavia ha trovato la sua famiglia tramite il sito aupairworld.com che offre alle famiglie ospitanti e agli aspiranti au pair la possibilità di mettersi in contatto autonomamente. Ma sentiamo direttamente da Flavia il racconto della sua esperienza.
Au pair Irlanda: l’intervista a Flavia
Cosa ti ha spinto a partire come au pair in Irlanda?
Potrei dire la noia, potrei dire la disperazione, potrei dire l’angoscia che mi assaliva durante la ricerca di un lavoro, ma mi piace pensare che le molle che mi hanno spinta verso l’Irlanda siano state la curiosità e un pizzico di coraggio. Avevo ottenuto la mia (sudata) laurea da qualche mese ormai, ma non avevo ancora un lavoro che mi rendesse pienamente soddisfatta. Sentivo la necessità di prendermi una pausa, di riflettere un po’ ma al contempo di visitare un paese, di conoscere persone nuove e realtà diverse, di rispolverare una lingua che durante gli studi di ingegneria avevo messo da parte. Creai il mio profilo sul sito di au pair e mi misi alla ricerca di una famiglia ospitante, in realtà però senza troppe aspettative, e trovai i miei host nel giro di pochissimo tempo. Poche chiacchiere tramite email (cosa davvero insolita – visto che solitamente si fanno colloqui addirittura su Skype) sono bastate per sceglierci. Io lo chiamo destino perché le cose che si appartengono sono destinate a trovarsi.
Qual è stato l’aspetto che ti è piaciuto di più di questa esperienza?
Fatico a trovare un solo aspetto positivo in questa mia esperienza: innanzitutto ho trovato la mia famiglia e questa non è una cosa scontata. Perché non ho trovato semplicemente una famiglia, ma LA MIA. Un’altra, aggiuntiva. Non quella di sangue, ma una per scelta.
In secondo luogo, ho incontrato altre persone, altre ragazze che, come me, stavano affrontando lo stesso tipo di esperienza, e con cui per questo è stato semplice trovarsi, raccontarsi, aprirsi, conoscersi a fondo. Infine, ho avuto la possibilità di viaggiare moltissimo per il Paese, scelto appositamente proprio perché la sua moderata estensione permetteva di vedere molto senza doversi spostare troppo in termini di ore e/o chilometri…e me ne sono follemente innamorata.
Hai incontrato delle difficoltà? Se sì, quali?
È ovvio che non è stato tutto rose e fiori fin dall’inizio: tralasciando la guida sulla corsia opposta, che è una difficoltà che si supera facilmente con un po’ di pratica; tralasciando l’orario di cena che per me somigliava più a quello di merenda (anche questo risolto con l’abitudine); tralasciando lo shock provato nel constatare che io, ragazza di città perennemente sui tacchi, ero finita in una fattoria con maialini e galline e mucche nel giardino, che è poi diventato il plus della mia vita irlandese, devo dire che l’assenza di un collegamento internet decente, lì per lì, mi aveva decisamente costernata, abituata com’ero ad essere connessa 24 ore su 24. Per mesi ho sentito i miei genitori, i miei amici e le persone della mia vita (italiana) solo tramite messaggi vocali o, quando era possibile, durante i miei weekend fuori, in luoghi in cui era disponibile la rete.
Quali competenze hai acquisito a livello personale e/o professionale?
Banalmente, ho migliorato il mio inglese. Credo. Ero già di mio molto brava e infatti non ho frequentato alcun corso di lingue lì, perché il mio livello era superiore rispetto ai corsi che erano previsti dalla scuola irlandese, ma il mio inglese era un inglese british scolastico, puro, strettamente legato alla grammatica. Vivere a Drogheda mi ha portata a parlarlo più fluentemente ma anche, immagino, meno legato alle regole linguistiche, con un accento Irish molto marcato e pieno di slang e modi di dire.
Certamente però l’inglese non è stata l’unica cosa che ho imparato. Anzi. Direi che tutto ciò che mi sono portata dietro da questa esperienza sia più che altro una crescita personale: lontana dal contesto “formale” in cui avevo sempre vissuto, ho riscoperto il piacere di pensare realmente a me e alle cose che mi piacciono, grazie ai bambini ho ritrovato la bambina che era sepolta in me, quella a cui piaceva giocare, esplorare, condividere momenti di spensieratezza; ho capito quanto i genitori facciano per i loro figli e quanto io stessa sono disposta a fare per le persone che amo; ho imparato a vedere il mio paese da un altro punto di vista o forse addirittura con occhi nuovi, cominciando ad apprezzarlo veramente (e anche a odiarlo, per molti aspetti); sono entrata dentro una cultura diversa dalla mia, ne ho conosciuto miti, leggende, luoghi e tradizioni, le ho assaporate e infine, le ho proprio fatte mie.
Quali raccomandazioni daresti a chi volesse intraprendere questo percorso?
Vivetevi la vostra famiglia. Trascorrete con loro dei momenti di qualità. Non richiudetevi nella vostra camera quando i genitori tornano a casa, non cenate per conto vostro, non passate tutto il vostro tempo libero lontani dai bambini. Provate i cibi tipici tradizionali, parlare con le altre mamme quando andate a prendere i bambini a scuola e, se si presenterà l’occasione, partecipate ai morning coffee, alle recite scolastiche e alle giornate in palestra organizzate dalla community. Vivetela, la comunità che vi ospita. Vedrete che così l’esperienza sarà unica, ricca ed entusiasmante e vi lascerà un bagaglio (culturale ed affettivo) che potrete portare con voi per tutta la vita.
C’è qualcos’altro che vorresti raccontare di questa esperienza?
L’anno scorso io, la mia host mum, i bambini e la zia siamo stati tutti insieme a Londra agli Harry Potter Studios e quest’anno verranno a trascorrere una settimana di vacanza da me in Sicilia: il rapporto che abbiamo mantenuto è straordinario e invito tutti a prendere in considerazione l’idea di tuffarsi in un’esperienza del genere senza indugi ma con il cuore totalmente aperto.
Se vi è piaciuto il racconto di Flavia sulla sua esperienza di au pair in Irlanda e volete leggere altre avventure di Flavia in giro per l’Europa, la trovate sul suo blog CASE_preparalavaligia